Mi accetto così come sono – #PrideMonth
Meditazione Guidata n°25
Quando preparavo il materiale per queste meditazioni, ho letto un sacco di studi sul “Minority Stress”, un termine che viene utilizzato per indicare un insieme di disagi psicologici dovuti all’appartenenza ad una minoranza.
Partiamo con il sottolineare che i disagi NON sono direttamente collegati al fatto di appartenere ad una minoranza (o in questo caso specifico all’orientamento sessuale/identità di genere) ma alle condizioni di vita sociali a cui spesso le persone LGBT+ sono sottoposte: stress dovuto alla paura di essere “scopert*”, al giudizio, al rapporto con ambienti o persone ostili se non vere e proprie violenze.
Lo stress da minoranza è un’esperienza continua in una società in cui vi è un gruppo dominante che definisce norme e valori ma soprattutto, al centro della condizione di stress, vi è quell’iniziale senso di incongruenza tra la cultura in cui si vive e i propri bisogni.
A quel senso di incongruenza possiamo dare ascolto durante la meditazione.
Possiamo contattare e respirare in questo spazio di frizione tra società e spinte interne.
Le regole del gruppo dominante, se ci cresciamo, diventano le nostre idee, le nostre convinzioni. Prendere contatto con quel senso di incongruenza permette di avvicinarci a noi stess* e pian piano riconoscere le regole del gruppo dominante come semplici regole del gruppo dominante.
Diventa possibile accettare anche di non far parte di quel gruppo dominante e di non dover seguire quelle regole.
Accettare.
Una parola “magica” che ritornerà tante volte nella meditazione guidata di oggi.
Prima di guardare fuori, agli altr*.
Prima ancora di chiedere di essere vist* o accettat*.
Prendiamoci cura della relazione più importante che abbiamo: quella con noi stess*.
Preoccupiamoci di vederci davvero, tutti.
Diamoci spazio, ascolto, comprensione.
Preoccupiamoci di accettarci così come siamo, con tutte le parti che abbiamo.
Serve tempo e pazienza ma in fondo, il cammino interiore – il cammino di accettazione di sé – è un po’ come una storia d’amore: ha bisogno di cura, di presenza, di costanza e attenzione… è un passo imprescindibile.
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Ci sediamo nella posizione che conosciamo e che ci è confortevole e dedichiamo qualche instante al radicamento nel presente. Utilizziamo il respiro come ancora. Inspirando gonfio la pancia ed espirando sgonfio la pancia. A ogni inspirazione ed espirazione lascio andare le tensioni del corpo, rilasso il viso, le spalle, la schiena, le gambe. Inspiro e gonfio la pancia ed espiro e sgonfio la pancia.
In questo momento stiamo con noi stessi, con il nostro respiro, con il nostro corpo, senza dover fare nulla, senza dover essere diversi. Rilassiamoci sapendo di poter essere esattamente così come siamo. Diamoci l’opportunità di scendere in profondità in uno spazio di accettazione di sé, dove possiamo accettare quello che siamo e dove possiamo trovare gli strumenti per muoverci attraverso senza fare resistenza. Tutte le volte che diamo a noi stessi la possibilità di accettarci così come siamo, il nostro mondo si trasforma: entriamo in contatto con la nostra verità. Abbiamo la possibilità di saggiare come vogliamo entrare in contatto con noi stessi, andiamo oltre i nostri pensieri e semplicemente ci abbracciamo, ci teniamo stretti.
Oggi scelgo di essere me stesso/a senza giudicarmi.
Scelgo di vivere ogni momento sapendo che vado già molto bene così.
Oggi scelgo di darmi attenzione, di celebrarmi e di occuparmi della relazione che ho, che è quella con me stesso/a.
In fondo il cammino interiore, il cammino di accettazione di sé, è un po’ come una storia d’amore: ha bisogno di cura, ha bisogno di presenza, ha bisogno di costanza e attenzione. Come in tutte le storie, ci sono i momenti no, i momenti più difficili, e nella relazione con noi spesso sono i momenti in cui entriamo in contatto con qualcosa che giudichiamo brutto, non adeguato, non abbastanza. Quando riusciamo a contattare questo, quando ci permettiamo di scoprire in maniera autentica, in maniera aperta, ciò che riteniamo essere “il brutto” in noi, incontriamo la nostra poca fiducia in noi stessi ma incontriamo anche la possibilità di incontrare tutte queste parti e quindi c’è un aspetto di bellezza e di fiducia in questo prendersi cura anche di ciò che fa male, di ciò che giudichiamo. Quando ci diamo la possibilità di sentire ogni parte, è come se prendessimo in mano tutto il nostro cuore per intero, i pezzi congelati, i pezzi crepati, i pezzi che hanno attorno una corazza, e ci prendessimo cura di questo cuore, per intero, senza lasciare fuori niente, nessun aspetto. È un modo di scoprire che in realtà dentro di noi c’è una enorme tenerezza, un aspetto molto umano che spesso trascuriamo perché siamo abituati a non sentire, o a cercare di non sentire, il dolore. Magari preferiamo reagire, ci arrabbiamo, scalpitiamo, ma non ci diamo lo spazio per sentire dov’è la ferita o dov’è il dolore o quanto ce n’è. Tenere in mano questo cuore per intero, con un po’ di corazza, un po’ di parti congelate, un po’ di crepe e un po’ di parti che sono invece vive, pulsanti e piene di amore, significa anche aprirci alla possibilità di essere delle persone vulnerabili che fanno parte di un mondo che ha la sua cultura, le sue convinzioni, le sue idee.
Ma siamo anche abitati da qualcosa di più grande e possiamo abbracciare per intero noi stessi con estrema gentilezza e amore. Quindi, entrare in contatto con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra storia, e nel frattempo amare noi stessi, è una delle cose più coraggiose che possiamo fare, è una scelta davvero coraggiosa che richiede di avere voglia di fare i conti con una serie di domande scomode, con emozioni difficili, con parole che ci ripetiamo nella testa. Significa anche abbandonare alcune aspettative irreali di perfezione che spesso ci rendono insoddisfatti e imparare a trattarci con gentilezza, con compassione, accettando tutte le parti. Possiamo smettere di condannare noi stessi/e per sbagli o fallimenti e aprirci alla possibilità di amarci proprio lì, proprio per quegli sbagli, quei fallimenti, per quelle fatiche, per quelle parole, per il dialogo interiore spesso spietato. Quando ci diamo la possibilità di riconoscere questo, di vedere come ci trattiamo, le parole che ci rivolgiamo, la durezza che abbiamo, senza mai abbandonare lo spazio di accettazione, quindi senza mai poggiare quel cuore, ma continuando a tenerlo in mano, a tenerlo vicino, lì si apre comunque un campo di trasformazione in cui siamo sempre noi con tutti i nostri pezzi, ma siamo in contatto. Oggi vorrei concludere questo momento con alcune domande:
Noti come reagisci nei confronti di te stesso/a?
Che tipo di parole usi o che aspetti giudichi o critichi di te?
Quali sono le conseguenze di questo dialogo interiore? Ti aiuta? Ti motiva? O ti fa sentire scoraggiato/a?
Com’è per te aprirti alla possibilità di andare già molto bene così?
Cosa pensi o come ti sentiresti se potessi accettarti esattamente così come sei? C’è paura, c’è speranza o ci sono entrambe?
Esplora, non con la testa, ma attraverso la meditazione, la risposta a queste domande e porta la consapevolezza anche fuori dal momento di pratica ma nella tua vita di ogni giorno. Ascolta come ti parli, come ti critichi e prova in quei momenti a richiamare il tuo cuore, a tenerlo in braccio e a ripeterti Io vado già bene così.
Conoscere e capire noi stessi è cruciale, ma per vivere un’esistenza felice c’è una cosa che è ancora più importante, che è quella di amare noi stessi, trattarci in maniera gentile e affettuosa, che non significa accondiscendente e libertina, ma tenere quel cuore in mano senza desiderare che sia diverso, senza occultarne delle parti, ma semplicemente prendendosene cura così com’è perché è unico, è prezioso e merita tutto il nostro amore e tutta la nostra attenzione.
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