Togliere le maschere – #PrideMonth
Meditazione Guidata n°28
Fare coming out è rischioso. Non possiamo sapere come risponderanno gli altri o cosa cambierà da quel momento in poi. Ci rende vulnerabili ed esposti, per questo è fondamentale che ognuno rispetti se stess* e i propri tempi: nessuna forzatura, nessun “dovresti” che arrivi dall’interno o dall’esterno.
L’autenticità molto spesso non significa andare sul sicuro, anzi, significa essere molto vulnerabili ed è un rischio che possiamo decidere se compiere o meno in base al tipo di relazione che cerchiamo. A volte facciamo coming out con gli amici ma non in famiglia. O sul lavoro.
Ogni situazione è a sè ed è importante partire, come sempre, dall’ascolto di sè.
Fare coming out può dare la possibilità di togliere una maschera, di prendere possesso della nostra vita e di chi siamo.
Non è semplice ma a volte è più difficile passare tutta la vita a fuggire da chi siamo, a vivere secondo le regole di qualcun altro.
Quando passiamo tutta la vita a cercare di reprimere, scappare, cancellare, estirpare parti di noi che pensiamo non si conformino, non siano adatte, non si integrino con l’immagine che vorremmo di noi o con l’ideale che qualcuno ci ha passato, facciamo un sacco di fatica.
Si tratta di un percorso graduale che parte dalla connessione con noi stessi, dalla volontà e dal coraggio di incontrare tutte le nostre parti con gentilezza, con compassione, per poi trovare quel senso di connessione con noi e con gli altri.
Scopriamo la bellezza dell’appartenenza che esiste tra le persone quando si sentono viste, sentite, apprezzate… quando possono essere loro stesse in un rapporto dove non c’è giudizio ma c’è sostegno e connessione.
Molto diverso dall’integrarsi cercando un modo di essere approvati, imparando a valutare le situazioni per intuire cosa può essere accettato, quanto possiamo esporci e come possiamo plasmarci nelle varie situazioni.
Il senso di appartenenza non ha nulla di tutto questo, non richiede di cambiare chi siamo o di scegliere di mostrare solo dei pezzi. Il senso di appartenenza è essere chi siamo.
E anche se gli altri non dovessero accettarci, essere autentici con noi stessi e con loro è uno dei più grandi doni che possiamo fare a noi stessi e alle persone che amiamo: mostrare loro che ci si può abbracciare nella vulnerabilità ed amare così come siamo.
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Ci sediamo in un luogo tranquillo in cui possiamo dedicarci un po’ di attenzione. Se abbiamo scelto una sedia, ricordiamoci di tenere i piedi poggiati per terra, la schiena diritta e non appoggiata allo schienale, non troppo rigida ma vigile. Le mani possono essere poggiate tranquillamente sulle cosce.
Portiamo l’attenzione al respiro e ai punti di contatto del nostro corpo con il pavimento, con la sedia, con il cuscino se siamo a terra. Quando ci sediamo per meditare lo facciamo per entrare in contatto con noi, con le nostre emozioni, con i nostri pensieri, anche se cerchiamo solo di vederli e non di seguirli: non sono minuti dedicati a pensare intensamente, ma notare i pensieri, che sono due cose diverse.
Una cosa che abbiamo perso, una capacità (quella di stare in contatto con noi) che non alleniamo molto rispetto magari ai pensieri, alla parte razionale e logica. Ma prendere possesso della nostra storia e di chi siamo è un passo importante per sentire di prendere attivamente parte alla nostra vita, a non vivere trascinati dalle circostanze, da quello che accade, da quello che gli altri si aspettano da noi. Ovviamente non è semplice, ma forse è più difficile passare tutta la vita a fuggire da chi siamo, a vivere con una maschera, a vivere secondo le regole di qualcun altro. Quindi è vero che abbracciare la nostra vulnerabilità può essere rischioso perché non sappiamo come possono rispondere gli altri, non sappiamo come si potrebbero modificare i rapporti, magari migliorano, magari no; ma è rischioso anche rinunciare a quel senso di appartenenza e alla gioia autentica di essere noi stessi con noi e con gli altri. Quindi, quando abbiamo il coraggio e ci diamo la possibilità per esplorare tutte le nostre parti più vulnerabili scopriamo che siamo davvero coraggiosi, che abbiamo la possibilità di esplorare le nostre zone d’ombra e scoprire il potere infinito che hanno quelle che sono luce. Come sempre si tratta di un percorso graduale, di un percorso che parte dalla connessione con noi stessi, dalla volontà e dal coraggio di incontrare tutte le nostre parti con gentilezza, con compassione, per poi trovare quel senso di connessione con noi e con gli altri; perché quando ci ricompattiamo, quando ci ritroviamo e prendiamo in braccio tutte le nostre parti, quello stesso senso di connessione lo generiamo anche all’esterno. È un’energia che esiste tra le persone quando si sentono viste, sentite, apprezzate, quando possono essere loro stesse e dare e ricevere in un rapporto dove non c’è giudizio, ma c’è sostegno, forza, appunto connessione. Come esseri umani abbiamo bisogno di questa connessione, la cerchiamo, anche se magari ci raccontiamo di bastare a noi stessi, siamo animali sociali e abbiamo bisogno di queste relazioni per crescere emotivamente. Le conseguenze di una disconnessione da sé e dagli altri sono reali e sono pericolose. L’amore e il senso di appartenenza possono davvero fare la differenza nella qualità della nostra vita. Il primo passo è proprio quello di sapere di essere meritevoli, di lasciarci alle spalle quello che gli altri pensano, vogliono, e di entrare in contatto con la nostra storia, con chi siamo, col nostro valore e con la sensazione di essere già abbastanza così. Quando passiamo tutta la vita a cercare di reprimere, scappare, cancellare, estirpare parti di noi che pensiamo non si conformino, non siano adatte, non si integrino con l’immagine che vorremmo di noi o con l’ideale che qualcuno ci ha passato, facciamo un sacco di fatica. Questo non significa che non si possa sperare di migliorare un aspetto o qualsiasi altro tipo di cammino o cambiamento per se stessi, ma è fondamentale chiederci da che parte si muove questa spinta, da che terreno. È un terreno che accoglie le nostre fragilità, le nostre vulnerabilità, le nostre parti in ombra o è un terreno che invece le giudica, le critica, le scaccia. Perché sono due punti di partenza profondamente diversi e passano comunque dalla necessità di entrare in contatto con le parti in ombra, o meglio: se penso o se cerco una spinta al cambiamento che parta dall’amore e non dalla paura o dal giudizio, devo incontrare le ombre; se parto dal giudizio posso semplicemente fare finta di niente, svicolare, sforzarmi, bypassare, scacciare tutti quanti i pezzi che non ci piacciono fuori dalla porta e dire “voi non esistete”, poi magari rientrano dalla finestra, perché di solito succede così. L’invito, invece, è di farli accomodare nel nostro divano immaginario e accogliere i pezzi che ci sono così come sono. Innanzitutto, vederli.
C’è una riflessione che ha fatto Brené Brown, che vorrei dire oggi: parla della differenza tra integrazione e senso di appartenenza. Se ci pensate oggi non ho mai usato la parole integrazione o integrarsi nella società, ma ho parlato dell’importanza del senso di appartenenza. Non sono due concetti che si equivalgono. Integrarsi è trovare il modo di ottenere approvazione, accettazione. Noi siamo bravi a sapere come rendere felici le persone, cosa non dire, cosa dire; impariamo presto a valutare le situazioni per intuire cosa può essere accettato, cosa può non essere accettato e come possiamo plasmarci nelle varie situazioni per integrarci a quelle situazioni. Il senso di appartenenza non ha nulla di tutto questo, non richiede di cambiare chi siamo o di scegliere di mostrare solo dei pezzi. Il senso di appartenenza è essere chi siamo. Come dicevamo prima, abbiamo spesso un innato desiderio di far parte del gruppo, di sentirci parte di qualcosa, e cerchiamo di farlo integrandoci, cercando l’approvazione degli altri. Alcune volte ci adattiamo, rispondiamo ai bisogni altrui purché non ci sia il rischio di perdere quell’integrazione, quel senso di fare parte di qualcosa. Il senso di appartenenza invece si crea con gli altri nel momento in cui presentiamo la nostra parte più autentica e per farlo è chiaro che si passa dall’auto-accettazione, perché accettandoci possiamo poi presentarci agli altri così come siamo. Non è semplice, soprattutto perché viviamo in un contesto che fa di tutto per ricordarci che non siamo mai abbastanza, che dovremmo fare di più, dovremmo fare meglio. Non è semplice essere fedeli a noi stessi, essere autentici, perché le persone che ci circondano potrebbero avere reazioni diverse, reazioni che appartengono solo a loro, che non dipendono da voi ma da loro, e che potrebbero cambiare anche i vostri rapporti. Quando scegliamo di essere fedeli a noi stessi, è facile poi sentirsi dire “quanto sei cambiato”. Qualcuno magari si può sentire ispirato da questo nostro senso di libertà di espressione, qualcun altro invece giudicarlo, sentirsi abbandonato dalla nuova persona che incontra, qualcun altro potrebbe considerarlo un cammino di egoismo o di auto-indulgenza. Molto spesso noi non vogliamo che l’essere autentici, il mostrarsi agli altri venga scambiato per egoismo o narcisismo e quindi andiamo ad incontrare tanti pezzi di noi, tante convinzioni, tante idee, tante paure, tante zone in ombra. È per questo che è importantissimo il lavoro su di sé, l’ascolto autentico, il rimanere in contatto con quello che proviamo, perché solo così poi possiamo muoverci da un terreno saldo nel rapporto con l’altro e lasciare all’altro quello che è la reazione, la sua capacità di comprensione. È chiaro che la paura che mostrarsi completamente possa non piacere e che amici e parenti preferiscano la vecchia versione, quella che diceva sempre sì, quella che si integrava, quella che sceglieva cosa mostrare e cosa no, è forte. È vero che l’autenticità molto spesso non significa andare sul sicuro, anzi, significa essere molto vulnerabili ed è un rischio che possiamo decidere se compiere o meno in base al tipo di relazione che cerchiamo. Sicuramente non vale la pena sacrificare quello che siamo per quello che pensano gli altri. È vero che gli altri possono soffrire di quello che siamo, della nostra autenticità, ma il nostro modo di essere onesti con noi stessi è il miglior dono che possiamo fare anche agli altri, anche alle persone che amiamo: mostrare loro che si può essere autentici, ci si può abbracciare in tutte le parte, e ci si può amare anche se vulnerabili, anche se imperfetti, anche con le zone d’ombra, così come siamo.
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