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Stare bene con noi stess

Stare bene con noi stess* – #PrideMonth

Meditazione Guidata n°27

L’omofobia, ovvero tutto quell’insieme di credenze e stereotipi che discriminano una persona in base all’orientamento sessuale, non è solo un fattore che riguarda gli altri ma spesso diventa interno ed è fonte di grande sofferenza.⠀

Così una persona gay, lesbica, bisessuale o trans* può arrivare a rifiutare il proprio orientamento, a viverlo con vergogna, spietato giudizio o senso di inferiorità tanto da non riuscire a comunicare agli altri alcune parti di sè per il timore di essere rifiutat* o denigrat*.⠀

A questo si aggiunge il senso di colpa nei confronti della famiglia, per averla delusa o fatta soffrire o per aver tradito le sue aspettative. ⠀

Come sentirsi veramente bene con noi stess* in mezzo a tutto questo?⠀

Iniziando a sentirci a casa dentro di noi. 

Siamo così poco abituati a questo che la sola idea di stare in contatto con le nostre sofferenze è spaventoso. Dove rischio di perdermi se lo faccio? E poi c’è quella vocina con le sue manie di perfezione che dice: “comunque tu non dovresti stare così male o essere così triste… dovresti essere/fare…”⠀

Quali altre frasi ci diciamo, nella privacy delle nostre teste?⠀

Prendere contatto con le nostre emozioni e i nostri stati d’animo non è semplice… ma vivere tutta una vita cercando di scansarle è altrettanto faticoso. Così come è faticoso vivere tutta una vita nelle scarpe di qualcun altro.⠀

Gran parte della cultura occidentale insegna a “tenere duro” a farsi “andare bene le cose”. Ci è stato insegnato che non dobbiamo lamentarci, che c’è chi sta peggio e quindi si “deve tirare avanti”. Se ci troviamo in una situazione difficile o stressante, raramente ci concediamo il tempo di fermarci un attimo e riconoscere quanto sia difficile per noi in quel momento.⠀

Eppure siamo tutti fatti di punti di forza e di debolezza. Abbiamo tutti parti imperfette, spaventate o tristi. Non siamo sol*.⠀
E quelle parti non sono sbagliate o da cambiare o da aggiustare. Sono solo parti di noi, da riconoscere e accogliere.⠀

Invece di condannarci per sbagli, fallimenti, aspettative non corrisposte… possiamo fare esperienza di questa sofferenza per allargare il cuore. Per abbandonare le scarpe altrui e trovare finalmente le nostre, del numero e della forma giusta.⠀

Leggi la trascrizione della puntata

Troviamo una posizione comoda e iniziamo a respirare in maniera profonda. Gonfio la pancia durante l’inspirazione e sgonfio la pancia durante l’espirazione. Iniziamo sempre ogni meditazione con qualche istante di respirazione e di ascolto del corpo per riuscire ad atterrare nel punto in cui siamo, a lasciarci alle spalle le cose da fare e le persone a cui rispondere. Inspiro gonfiando la pancia ed espiro sgonfiando la pancia.

Oggi, in questa società estremamente competitiva, quanti di noi possono dire di sentirsi bene con se stessi? La società è estremamente competitiva e ci spinge a fare di più, a fare meglio, a dare il massimo sempre. Non è mai abbastanza. Anzi, quello che ci insegna è il valore di stringere i denti, di tenere duro. Non ci si lamenta, non ci si arrende, si deve fare, produrre, riempire le giornate, dimostrare continuamente che la nostra vita vale, è degna, è piena, è ricca. Quindi, quando ci troviamo a provare emozioni difficili o a vivere una situazione complicata, molto spesso semplicemente non ci diamo il tempo di riconoscere quanto sia difficile o complicata quella situazione o quanto siano forti le emozioni. Faccio sempre l’esempio del pianto: quante volte ci viene da piangere e poi la nostra mente subito cerca di capire perché oppure sappiamo perché e quindi andiamo ad analizzare la situazione e ci perdiamo il pianto. Non piangiamo più poi, perché magari le lacrime salgono ma subito ci distraiamo. Succede anche quando magari veniamo aggrediti o siamo arrabbiati: siamo talmente preoccupati di rispondere, di dirgliene quattro a quella persona, che non ci concediamo mai il tempo di sentire quanto quell’offesa ci abbia fatto male o di scoprire che cosa quelle parole sono andate a toccare, perché magari vanno a toccare delle parti che non hanno tanto a che fare con il rapporto con quella persona ma che sono invece parti di noi. Ci spariamo fuori, ci spariamo nella risposta, ci spariamo nella soluzione. Non sto dicendo che bisogna crogiolarsi nel dolore, sentire e stare immobili nelle nostre tristezze o in una valle di lacrime. Il senso non è assolutamente questo. Ma probabilmente se vogliamo rispondere “abbastanza” o “molto” alla domanda “Quanti di noi si sentono veramente bene con se stessi, è necessario iniziare riconoscendo la propria sofferenza, le proprie difficoltà, le proprie emozioni. Riconoscere un’emozione non significa che poi non agisco, non scelgo, non rispondo a una determinata situazione, ma non possiamo prenderci cura del nostro dolore o delle nostre difficoltà se non riconosciamo che ci sono. Ci sono delle situazioni in cui effettivamente il dolore è lampante, lo sentiamo e non abbiamo neanche la possibilità di sviarci più di tanto: non riusciamo a pensare ad altro oppure a proiettarci nella soluzione o nella risposta. Ma non sono poi così tanti quei momenti.

Alcune volte contattare la nostra sofferenza, oltre ad aiutarci a conoscerci meglio e a prenderci cura di noi e quindi a instaurare una relazione con noi autentica, ci permette anche di renderci conto di un’altra cosa straordinaria che fa la nostra società, che è inculcarci delle aspettative di perfezione che molto spesso solo assolutamente irreali e che più le interiorizziamo più diventano un “dovrei essere, dovrei fare, dovrei avere”, più ci rendono insoddisfatti/e e se non ci rendiamo conto che ci sono queste aspettative dentro di noi, perché poi quello che accade è che viviamo e cresciamo in un contesto e interiorizziamo quello che arriva da quel contesto e in alcuni casi alcune cose ci sembrano assolutamente naturali e non frutto di condizionamenti o del contesto. Appena mettiamo in luce questo, già la prospettiva cambia, perché abbiamo la possibilità di renderci conto che abbiamo delle aspettative irreali di perfezione e iniziare a rapportarci con loro in maniera diversa rispetto a non rendercene conto e considerarle assolutamente naturali. Questo non significa che se ne andranno, ma significa che possiamo dialogarci in maniera diversa. Possiamo aprire il cuore a una forma di appagamento diverso e soprattutto a un rapporto con noi stessi/e che sia compassionevole, che sia gentile. Poco fa ho usato la parola dialogo e poi ho parlato di compassioni. Il mondo in cui viviamo sicuramente non spinge un individuo alla compassione verso sé. Ci viene detto che quello che diamo non è mai abbastanza, che potremmo dare di più. Eppure si può trarre beneficio anche rilassandosi anche nella possibilità di riposare, di non fare, di accettarci. Molti dei nostri pensieri auto-critici prendono la forma di questo dialogo interiore e mi sono sorpresa prima a usare questa parola. Il dialogo interiore è proprio quella valutazione costante che facciamo di noi stessi e siccome è silenzioso (non lo sente nessuno) non c’è nessun genere di censura. Significa che la maggior parte delle volte siamo davvero spietati/e, per non dire brutali. Era una cosa così stupida da dire. Sono proprio una sfigata. Sono così grasso che faccio schifo. Non mi meraviglio che nessuno mi voglia. È fondamentalmente una forma di auto-abuso estremamente comune di cui solo noi possiamo renderci conto e prenderci cura. Allenare la consapevolezza e quindi ritagliare spazi di meditazione formale, quella sul cuscino, per ascoltare il respiro (partiamo dalle basi), ci aiuta a familiarizzare con la mente e con tutti i pensieri che ci sono oltre il respiro; perché noi ci proviamo a stare con il respiro ma è normale che ci siano anche molti altri pensieri. Ma scegliamo uno spazio sicuro, protetto, in cui questi pensieri possiamo osservarli e lasciarli andare per tornare al respiro. Questo tipo di allenamento non serve in sé, oppure sì ha dei benefici in sé, ma la vera utilità è poi fuori dal cuscino, è nella vita di tutti i giorni, è quando ci accorgiamo di come ci parliamo e magari ci diciamo una frase come Sono proprio una sfigata e ci rendiamo conto che ce la stiamo dicendo. Sembra niente, ma non è, perché avere consapevolezza di come ci trattiamo durante la giornata, mentre facciamo cose o magari mentre siamo in difficoltà, è fondamentale. Magari scopriamo pian piano quante frasi, quante critiche fanno parte di condizionamenti esterni o di altre persone e sono diventate ormai il nostro modo di parlarci. Ovviamente questo dialogo c’è quando le difficoltà sono piccole e anche quando proviamo dolore e siamo in preda alla sofferenza. Lì, oltre al dialogo, magari scattano anche dei meccanismi per cui ho paura di sentire dolore, non voglio stare male. Quando c’è dolore, la nostra reazione istintiva è cercare di proteggerci e lo facciamo in tanti modi: cerchiamo qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa, giudichiamo noi stessi, entriamo in modalità lite, ci chiudiamo e ci estraniamo. Allora, un passo alla volta, dall’ascolto del respiro all’ascolto del nostro dialogo, arriviamo ad ascoltare anche come reagiamo alle difficoltà della vita, come ci trattiamo quando qualcosa non va bene, cosa facciamo: ignoriamo il fatto che stiamo soffrendo; ci focalizziamo sul risolvere il problema; ci fermiamo un attimo per darci cura e conforto; siamo completamente immersi nel dramma e non abbiamo più nessun genere di prospettiva bilanciata sulla situazione; oppure ci sentiamo completamente staccati e lontani dagli altri quando le cose vanno male? Magari con la sensazione che agli altri vada sempre meglio. Siamo preda del mito del farcela sempre da soli e quindi non chiediamo mai aiuti ma siamo disposti a darne, perché gli altri possono chiedere, ma noi no. Come sempre, però, non possiamo pensare di dare agli altri aiuto, apertura, sostegno, finché non sappiamo anche accettare con cuore aperto queste stesse cose per noi e finché non riusciamo anche a darcele noi stessi. Quindi possiamo intraprendere questo viaggio di coraggio, di imperfezione, concederci di essere umani, di sbagliare, di essere vulnerabili, essere in contatto autentico con noi, con compassione, con gentilezza, sapere che tutti noi abbiamo i nostri punti di forza e di debolezza. Nutrire questo amore in maniera incondizionata anche quando è difficile e magari sentiamo che ci vergogniamo, che abbiamo paura, di non essere abbastanza bravi. Riuscire in pratica a preoccuparsi di più di come ci sentiamo e meno di quello che la gente può pensare.

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